Sul caso delle attenuanti allo stupratore per “sardità”

Dal Manifesto di venerdì 12 ottobre
Sua sardità

Ida Dominijanni

Uno stupro è uno stupro è uno stupro, né più né meno della mitica rosa, sotto qualunque cielo e in qualsivoglia contesto. Pare non la pensi così un giudice di Hannover, che un anno fa – ma della sua sentenza si è saputo solo ieri – ha concesso uno sconto di pena «per attenuanti etniche e culturali» a un ventinovenne sardo che aveva più volte violentato la sua ex fidanzata lituana. Dove starebbe l'attenuante? Nella cultura di origine dell'imputato. Sua sardità
Ida Dominijanni

Uno stupro è uno stupro è uno stupro, né più né meno della mitica rosa, sotto qualunque cielo e in qualsivoglia contesto. Pare non la pensi così un giudice di Hannover, che un anno fa – ma della sua sentenza si è saputo solo ieri – ha concesso uno sconto di pena «per attenuanti etniche e culturali» a un ventinovenne sardo che aveva più volte violentato la sua ex fidanzata lituana. Dove starebbe l'attenuante? Nella cultura di origine dell'imputato. Nell'immaginario del giudice, evidentemente, fra i pastori sardi può succedere di tutto e se capita uno stupro un occhio si può chiudere. Due piccioni con una fava: sessismo e razzismo in una sentenza sola.
L'attenuante culturale è l'ultima novità che l'Europa importa dagli Stati uniti, dove è già da anni al centro delle dispute penali e politiche su come far quadrare il cerchio dei diritti e del diritto nelle società multiculturali. Essa è stata invocata a difesa di: un gruppo di uomini Hmong che avevano rapito e stuprato delle donne, sentendosi autorizzati dalla pratica culturale del zij poj niam; immigrati asiatici e mediorientali che avevano ucciso le loro mogli adultere, sentendosi autorizzati dalla loro religione; madri cinesi e giapponesi che avevano ucciso i loro figli e tentato il suicidio, sentendosi autorizzate dalla vergogna per l'infedeltà del marito insopportabile nella loro cultura; un immigrato iracheno che aveva costretto le figlie a sposare due uomini violenti, sentendosi autorizzato dalle usanze matrimoniali del suo paese. Va da sé che in tutti e quattro i casi, compreso quello in cui le imputate sono donne, ad avvantaggiarsi della «difesa culturale» sono i rapporti patriarcali. Il giudice tedesco ci mette un po' di sale in più, ritenendo che la Sardegna non stia né in Europa né in Italia. Del resto non è il solo. È capitato ieri di sentir dire nell'intervento di un parlamentare italiano, a tutt'altro proposito: «Capita in Calabria, e anche in Italia». La lingua batte dove il federalismo duole?
This entry was posted in not in our names. Bookmark the permalink.