proposta-regalo

care acrobate…

vi facciamo una proposta-regalo, nel senso che vi è riconosciuta facoltà di accettazione o di fuga…

 "... chissà che un giorno non ne esca un libro di memorie tutto nostro con le nostre idee, i 
nostri scambi, le discussioni, gli stimoli e le miriadi di cose che ci
diciamo e che condividiamo da anni. "

così scriveva Anto poco tempo fa…

non è ancora un libro però, per rispondere a questo nostro desiderio, abbiamo attivato il blog le acrobate: tutto il resto è da immaginare insieme. noi abbiamo pensato che potremmo usare questo spazio così:

uno spazio di parola e di confronto tra di noi e con altr@ che vorranno attraversare questo spazio e la sua "comunità"

uno spazio politico – per la goia di Roberta – per connettere energie, passioni e contraddizioni e immaginare pratiche di trasformazione

un modo per organizzare i nostri scambi proponendoci argomenti di discussione in cui ognuna dice la sua (e non dovendo andare a scovare le mail dei mesi precedenti per ricostruire il filo)

 

questo non significa ovviamente fare a meno alle nostre mail quotidiane e private in cui ciraccontiamo le nostre vite e ci coccoliamo.

Cosa ne pensate?

 

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2 Responses to proposta-regalo

  1. pamela says:

    Milano, Marzo 2007

    E’ uscito il numero 80 di Via Dogana

    QUESTO FEMMINISMO NON CI BASTA

    Da Guardare indietro (rubrica) di Vita Cosentino: Questo femminismo non ci basta vuole stare nel presente, in questo mondo veramente cambiato, con interrogativi, malintesi, polemiche, scontenti che diventano pretese. Diventando cape di governi, di città, di tribunali, sono donne a definire i campi di contesa e la posta in gioco oppure si fanno includere nel potere maschile? Stiamo andando all’estinzione della differenza femminile o a un cambio di civiltà? Le donne più giovani assumono protagonismo là dove sono o “sono assunte”? Con quali occhi guardare a quello che sta capitando? Come assumerne la grandezza?

    Da MILANO SENZA MAIUSCOLE, di Lia Cigarini e Luisa Muraro:
    Due amiche romane, una sera a cena hanno voluto salutare con una bottiglia di champagne la candidatura di Ségolène Royal alla presidenza dello Stato. Le amiche volevano così festeggiare il di più di visibilità che la lotta delle donne ne avrebbe ricavato. Mi sono chiesta del perché non siano ancora arrivate a Milano con un’intera cassetta di champagne. In questa città, infatti, molta parte del potere maschile si trova in mani femminili: la sindaca (la quale ha coerentemente dichiarato di voler essere chiamata “sindaco”, anzi “signor sindaco”) Letizia Moratti; la capa dell’opposizione di centro-sinistra Marilena Adami; la presidente della potente Confindustria degli industriali lombardi, Diana Bracco (che ha voluto dichiarare, con gesto eloquente, che deve tutto agli insegnamenti del padre, fondatore della dinastia industriale Bracco); la segretaria generale della Cgil lombarda, Susanna Camusso; la presidente del tribunale, Livia Pomodoro; la direttora regionale dell’istruzione, Dott.ssa Dominici, e persino la rettora delle scuole dei gesuiti. Non siamo in presenza di singole che, com’è già successo in passato, sono emerse qua e là nel mondo, portate in posti eminenti dalla loro ambizione e dalle circostanze, ma di un’intera leva di donne che contemporaneamente ha occupato le articolazioni del potere in un’unica città.
    Non c’è dubbio che il femminismo c’entri, ma come?

    Da Ma io ci spero, di Marina Terragni:
    A me pare che il momento sia politicamente molto eccitante, e confido, come al mio solito, nel meglio. Detto tra parentesi, non ho alcuna antipatia per le emancipate più riuscite: le guardo con ammirazione e interesse, i loro successi mi fanno un gran piacere, mi sono molto simpatiche, anche se ho la sensazione che si tratti di un modello in scadenza, che presto o tardi sarà ritirato dal mercato. Vedo certe ragazze che si arrabattano a vivere e a cercare il loro posto e un po’ di felicità nel mondo, senza passare sotto le forche caudine dell’emancipazione, e mi pare che stiano un passo avanti, che costituiscano il modello nuovo. E quindi forse per la prima volta le donne “comuni”, le madri “normali”, hanno un vantaggio simbolico rispetto alle emancipate, anche se forse guadagnano meno soldi: ma sul fatto che il denaro sia una misura simbolica relativa ci siamo già dette molto

    Da E gli uomini?, di Sabina Baral:
    In questo tempo di protagonismo femminile, a costo che ciò risulti un po’ paradossale, io mi ritrovo a preoccuparmi per gli uomini, per la loro latitanza. Perché li vedo smarriti sul fronte della vita personale, come chi ha perso familiarità con ciò che lo circonda e tremendamente deboli sul versante della vita pubblica. Relativamente a questa ultima sembrano assistere desolati alla fine della politica, del loro apparato concettuale, senza capacità di reinventarsi. Allora non vorrei che il nostro protagonismo fosse in parte l’ovvia conseguenza del loro ritrarsi, della terra desolata in cui sono caduti; nessuna gentile concessione, insomma, ma l’ultimo gesto della loro impotenza.
    Ora mi chiedo: non è sempre quello che molte di noi hanno auspicato? L’uomo che, finalmente, sapesse disidentificarsi dalla polis. Ma che ne sarà di una società scarsa di uomini e senza il loro bagaglio di pensiero forte? Non vorrei che tutto ciò rischiasse di divenire il rimosso di un certo femminismo.

    Da Niente e tutto, di Francesca Spano:
    (…) Un anno e mezzo fa, i giornali hanno sottolineato “l’evento” nella piccola casa dei protestanti italiani: l’elezione della pastora Maria Bonafede alla carica di Moderatore della Tavola valdese, l’organo di gestione dell’unione delle chiese valdesi e metodiste in Italia.(…) Cosa accadrà allora alla nostra chiesa che si è trovata ad eleggere una Moderatora? Assolutamente niente e assolutamente tutto. Niente se verificheremo che un ruolo da sempre svolto da un uomo è stato svolto da una donna che per sentirsi all’altezza ha cercato di adeguarsi a quel ruolo pensato non certo per lei; niente se affideremo una possibile trasformazione solo alle capacità, ai talenti, alla forza di questa singola donna; niente se ci rapporteremo a lei come se fosse un lui. Tutto se la sapremo guardare, se sapremo guardare il suo corpo riconoscendolo come corpo di donna (per corpo intendo tutto: fisicità, modalità di lavoro, di costruzione del pensiero e delle relazioni, difetti, doni) e se il nostro guardarla permetterà a lei di vedersi e riconoscersi come donna anche in quel ruolo; tutto, se le donne con cui lei pensa e lavora non la lasceranno sola a pensare e ad agire, ma costruiranno insieme a lei quel “pensiero in relazione”, che solo ci salva dal prometeismo delle donne in carriera e dalla irrilevanza politica delle donne che non osano esporsi.

    Da La responsabilità di esserci sulla Terra, di Antonella Nappi:
    È stato il femminismo negli anni sessanta e settanta a dare spessore alle esperienze personali contro il dominio ideologico, a invertire la rotta della tolleranza delle donne per agire con loro una scelta e un giudizio quotidiani. Prima, l’esercizio giornaliero di responsabilità era banalizzato dalla dimensione collettiva dell’agire e la soggettività era schiacciata dall’immanenza di dimensioni strutturate e vissute come naturali, giuste, uniche (Marita Rampazi per il Convegno di AIS di Napoli del 10 novembre 2005). Il femminismo ha smascherato la funzionalità dell’agire personale e quotidiano alla costruzione politica e ha fatto della responsabilità di ciascuna uno strumento politico innovativo (volontario). Ma le logiche del dominio si rinnovano. Aperti spazi di libertà nella società, mosso pluralmente un pensiero critico soggettivo, di nuovo molte realtà strutturate obbligano pensieri e azioni impersonali, nuovi modelli autoritari vedono le persone aderirvi senza che siano riuscite a riconoscerli e valutarli.

    Da Parlo per me, di Lorena Melchiorre:
    I grandi dilemmi della vita si palesano, a volte, fin dalla prima infanzia e da lì non ti abbandonano più. Il mio è stato: AMMAZZARE IL PADRE o ABBANDONARE LA MADRE AL PROPRIO DESTINO.
    Ad oggi non ho compiuto né l’uno né l’altro gesto, ma ho maturato la convinzione che le grandi rivoluzioni private e sociali avvengono così.

    Da Sole & Luna, di Chiara Pergola:
    Sole: Per raggiungere l’indipendenza ognuna di noi sa qual è il prezzo da pagare.

    Luna: Ma questo non c’entra con il fatto di non sentirsi protagoniste. In effetti questa sensazione non è mai dipesa dalle condizioni materiali. Ed è proprio questa la vera indipendenza: non far dipendere dalle condizioni esterne il senso ed il valore del proprio agire.

    Da La solitudine nei campi di battaglia, di Marta Pastorino
    Immaginate una bambina. Immaginatela nascere nel 1978 e crescere tra sorelle, amiche, mamme, nonne. I papà sono al lavoro, oppure sono stanchi, davanti alla televisione.
    Un pomeriggio, sulla poltrona in salotto, la nonna le fa posare la testa sul suo grosso petto, e le sussurra all’orecchio: -ricordati che i libri sono i veri amici dell’essere umano.- Tenendo la piccola mano tra le sue rugose, più tardi, la bimba scende con la nonna ai giardini, file di panchine sono occupate da altre signore incappottate, nonne come lei.
    -Vedi quelle? – Dice alla nipote, – non fanno che sparlare degli altri, sono donne senza letteratura.-
    Mentre lei gioca con i legnetti nella terra, la nonna siede in solitudine su una panchina poco lontana, e, probabilmente, pensa.

    Da Protagoniste, ma di quale racconto?, di Emma Schiavon
    No, in effetti non ci sentiamo protagoniste. È soprattutto perché per avere delle protagoniste è necessaria un storia, una storia nel senso di un racconto comune e almeno in parte condiviso, prima ancora che una Storia con la S maiuscola. Un racconto che giri e dia senso a quelle esperienze politicamente e culturalmente significative che abbiamo fatto nel corso del tempo, anche se nessuna di noi si aspetta un rispecchiamento tout court nelle altre. Noi non possiamo credere a identità comuni, a fusionalità che non appartengono al nostro vissuto. Pensiamo anzi che per affrontare il neo patriarcato che ci circonda, proteiforme e insidioso più che mai, sia necessario approntare strumenti diversi, variamente temperati. Le nostre diversità sono un vantaggio, potranno più difficilmente prenderci le misure. Ma anche questo va narrato, fatto valere, immesso in un circuito di comunicazione più ampio, messo a punto e teorizzato.
    Tipico del nostro paese è invece una specie di blocco narrativo, una paralisi della memoria per cui il racconto dell’esperienza politica continua a involgersi sempre sullo stesso ristretto momento, che va indicativamente dal 1967 (anno della mia nascita) al 1975-’76.

    Da Il sorriso di Robert, di Cinzia Soldano
    Il 1968, si sa, è un anno fondamentale nella storia della seconda metà del secolo scorso. Anno di rottura, di scoppio, di grande apertura per le speranze di quegli esseri umani, uomini e donne, che stavano al mondo col desiderio di cambiarlo. Uno dei (grandi) meriti del meraviglioso film di Emilio Estevez, Bobby, è quello di farci comprendere che non di un inizio si trattò, ma di una fine. Una fine di cui ancora noi, che ci ostiniamo a pensare che comprendere l’esperienza reale al di là delle sue rappresentazioni correnti sia un modo di agire la trasformazione politica, facciamo parte.
    Il film racconta, trasfigurando e con ciò cogliendone appieno il senso, quello che accadde durante l’ultimo giorno di vita del senatore Robert Kennedy presso l’Hotel Ambassador di Los Angeles, quartier generale della sua campagna elettorale.

    Da Ai libri non si resiste, (rubrica) di Liliana Rampello
    È sempre interessante scoprire che un uomo sa voler bene a una donna, sa vedere dietro la sua vita pazza e poco decifrabile una qualità che non vuole vada perduta, la preserva, la presenta perché tutti la possano ammirare. È quello che ha fatto William Maxwell introducendo i racconti di Maeve Brennan, (Il principio dell’amore, BUR, 2006), un libro bellissimo, scritto da un’autrice molto apprezzata da Alice Munro e Paula Fox, due scrittrici dallo sguardo altrettanto naturalmente spietato sulla realtà.

  2. Roberta (Ugo) says:

    ‘sta cosa mi piace ‘na cifra.

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